Narrazioni. Il Metodo Freedom Writers


Capita di cercare nella letteratura, nei risultati di ricerca, negli articoli, cercare per trovare quel qualcosa che serve per risolvere quel particolare problema che abbiamo in classe, impieghiamo tempo in lettura di indici, leggiamo articoli, per trovare la strada migliore , per trovare una strada che ci metta in condizione di “dare parola” ai nostri bambini, agli adolescenti, agli stessi adulti, I libri sono fatti anche per questo. Noi siamo anche i libri che abbiamo letto. Ci hanno aiutato, sostenuto nel cammino. Ad un certo punto ci si rende conto che un libro aspettava proprio me, stava lì, nella libreria da tanti anni, poi, come per caso (?) eccolo davanti ai nostri occhi.
Poi ti capita di incontrare nei libri persone vissute secoli fa, persone contemporanee e grazie alla nostra voce, quei testi entrano nel nostro tempo, facciamo spazio alle loro parole. Apriamo il libro che può trasformarsi in una lama che dice delle verità su noi stessi.

Queste verità su noi stessi le portiamo nelle nostre aule, di queste verità si nutrono i nostri bambini, i nostri adolescenti, gli adulti, ognuno di noi. Verità leggere, verità pesanti, verità oscure, lividi nell’anima, giardini in fiore, tutto questo portiamo nella nostra aula. Davanti al volto dei tanti che incontriamo c’è tutto questo, nella relazione, due mondi entrano in contatto.

L’insegnante Erin Gruwell e il metodo Freedom Writers

Ci sono tempi in cui un insegnante, un educatore in genere può scontrarsi con il muro dell’impossibile dell’insegnare: niente, non riesce a trovare nessun gancio per poter risvegliare le domande dei suoi studenti, un senso di malessere passeggia per tutti il corpo, il senso di futuro è oscurato, uno può trascinarsi aspettando il giorno di festa, il giorno di chiusura di scuola, pensieri come nuvole nere che bloccano lo spirito di iniziativa, e mentre succede questo inferno, tra le fiamme di questo inferno ci si può trovare seduti alla frescura di una palma e tra un dolore e l’altro capitano delle pause di speranza.
La mia pausa di speranza è accaduta senza mia responsabilità quando per caso ho visto il film “Freedom Writers”

Il film racconta di una insegnante di letteratura inglese, Erin Gruwell, che lavorava in un contesto scolastico e socio-culturale molto difficile (un Liceo di Long Beach, Los Angeles, California), la quale decise di cambiare il proprio metodo di insegnamento, riconoscendo giorno per giorno le proprie disattenzioni in classe, disattenzioni di ordine didattico e relazionale. E proprio dalle osservazioni degli studenti, l’insegnante inizia a trovare nuove modalità di relazione con la classe tanto da riuscire ad offrire alla sua classe multiculturale ciò di cui gli studenti avevano veramente bisogno: la possibilità di esprimersi, di raccontare le loro storie, elaborare i loro vissuti, confrontandosi con storie di vita narrate nella storia e nella letteratura, scoprendo e progettando giorno dopo giorno uno stile di vita centrato sulla disponibilità al cambiamento e sulla speranza per il futuro personale e sociale a partire da situazioni di vita particolarmente disagiate.

Il mio incontro con Erin Gruwell

Ancora le parole delle Letteratura che mi vengono in aiuto, come lampade o secchi di acqua che spengono il fuoco: “Esiste una strada: la tua”. Sono parole dell’analista C.G. Jung, ognuno di noi è chiamato dalla vita a fare il suo singolare e soggettivo cammino di trasformazione, scoprire il suo personale desiderio, la sua personale vocazione, il suo personale progetto di vita. L’incontro con la signora Gruwell e poi con il mio amico Tom Reifer ha creato condizioni di passaggio. Un soggetto può essere assoggettato dal potere di un altro, può aver paura di prendere la parola, può aver paura ad alzare la testa e parlare in mezzo agli altri per dire il suo personale punto di vista sulla vita e sulle cose. Occorre cercare dentro di se le parole della propria liberazione, questa può essere la condizione perché altri soggetti possano ”prendere parola” possano esprimere leggerezze, possano vincere la paura di leggere ad alta voce. Il soggetto che insegna, la persona che insegna ha il suo personalissimo viaggio da fare, entrare nella selva oscura, e ritrovare anche per pochi attimi la consapevolezza di essere un soggetto desiderante.

Ho incontrato la Signora Erin Gruwell nell’estate del 2014, ho visitato la California, Los Angeles, le periferie di Long Beach dove l’inferno ha preso stabile residenza, ho visto per strada gente che urlava la fine del mondo e ragazzi di colore sottoposti al controllo della polizia solo perché erano di colore, ho visto ingressi delle scuole controllati da guardie, scritte sui muri, avvisi legali: “In questa scuola è vietato parlare di gang non si entra con la pistola”.

Tra questo inferno, ho incontrato la Signora Erin Gruwell, vi dirò poco di questo mio personale incontro ma voglio dirvi che in questo caso le parole costruivano il muro dell’impossibile del parlarsi: il suo americano si scontrava con la mia balbuziente lingua inglese, che sofferenza avere in gola emozioni e non saperle trasformare in parole. Le emozioni dei nostri bambini, dei nostri adolescenti, le nostre emozioni che talvolta faticano a trasformarsi in parole possono trasformarsi in lame violente, violenza ovvero quando la parola è imbavagliata dal forte sentire, dalla paura, quando è assoggettata dal giudizio dell’autoritarismo, quando non si riesce a trovare parole per parlarsi. Imparare la lingua dell’altro è la migliore forma di amore che un essere umano possa praticare, imparare l’interesse dell’altro, il gioco dell’altro, le parole dell’altro.
Per dare parola ai suoi studenti la signora Erin Gruwell ha gradualmente messo in atto quello che poi si è rivelato essere un replicabile metodo didattico la cui finalità è quella di aiutare lo studente a scrivere una propria personale storia di vita attraverso il diario fino a giungere ad un cambiamento personale che poi diventa stimolo per l’impegno al cambiamento sociale, nel mondo.

Il metodo Freedom Writers: il processo formativo

Nessuno si fa da sé, si cresce all’interno di un legame, un altro accoglie il nostro grido di amore, di desiderio di essere desiderati.
Nessun metodo è autogenerativo, nessun metodo nasce da sé, nel corso della storia altri prima di noi hanno pensato al modo di educarci ed educare: Freinet parla del Libro della vita tutto da esplorare, la bellezza dello scriversi tra scuole, la tipografia; Lorenzo Milani e il desiderio di far conoscere parole nuove ai suoi ragazzi, Carl Rogers e la libertà nell’apprendere, e poi l’apprendimento significativo, la consapevolezza di essere abitati da intelligenze, alcuni esempi per dirvi che ogni metodo-punto di vista sull’educare è abitato dalle storie delle teorie educative che mai bisogna dimenticare, questo ci indica la necessità di non assolutizzare i propri punti di vista…ci dice sempre la necessità di un approccio interdisciplinare all’educare.
Erin Gruwell, giovane insegnante tirocinante entra in un Liceo di Long Beach nell’aula 203 è il 1994…tenta e ritenta, sbaglia e riesce, inizia a scoprire le parole chiavi del processo: tre parole per raccontare il processo di questo metodo: coinvolgi, illumina e dai potere.

Coinvolgi: mobilità nell’altro il suo desiderio di imparare;

Illumina: dai all’altro la possibilità di comprendere e interpretare i suoi tempi vita, la sua situazione sociale, offri parole delle letterature che aiutino a interpretare se stesso e il mondo.

Dai potere, crea condizioni con l’altro di mettere in atto processi di cambiamento, sviluppa consapevolezza in particolare attraverso il cambiamento che può esercitare una nuova scrittura della propria vita, un nuovo modo di vedere la propria vita mentre si scrive la propria autobiografia.

La scrittura dei Diari personali degli studenti è un’esperienza fondamentale e centrale del Metodo Freedom Writers. La scrittura, l’atto dello scrivere può essere fatto per passatempo, per un diversivo e talvolta può essere una risposta ad uno stato di disagio non ancora trasformatosi in dolore insopportabile. Scrivere: una formazione personale generatrice di cambiamenti indotti dall’imparare, si potenziano le capacità cognitive, la penna ed il cervello si alleano per mentalizzare, per simbolizzare la propria esperienza, per connotarla di senso; un esercizio che unisce corpo e mente. Scrivere è questo cammino di unificazione tra il pensare, il sentire, l’agire. Nelle storie di questi studenti della classe 203, i Freedom Writers, c’è la voglia di reagire alla forza oscura della depressione, della sfiducia in se stessi, dello smarrimento più devastante. Scrivere: una tecnologia umile, anzi, povera sempre a portata “della mano” con mille combinazioni creative.
«Il male, scrivendo, lo avvolgiamo in una rete di parole; come in un bozzolo che così ci portiamo appresso per svolgerlo (rileggerlo e sopportarne finalmente la natura) in un tempo diverso. Nella consapevolezza che il non averlo espulso rimuovendolo vanamente nell’inconscio, ma avendolo aggredito con la penna, lo “addomestica”».
La scrittura non libera dà senso. Il lettuccio delle nostre disattenzioni lo porteremo sempre con noi. Gli alunni della 203 hanno pianificato attraverso la scrittura del loro diario un passaggio: dalla cittadella del proprio ego alla piazza, all’attenzione a ciò che succedeva intorno a loro. Da persone imperfette, consapevoli dei loro limiti, hanno “marciato” prendendo contatto con il loro “marcio” per pensare ad un mondo migliore.
Erin Gruwell sembra aver creato le condizioni di una accettazione incondizionata che ha permesso a questi studenti di mischiare il loro sangue con l’inchiostro, scrivere senza vergogna la propria storia. Nell’aula 203 gli studenti iniziano a sentirsi persone, lavorano perché insieme si valorizzi l’unicità, l’auto-espressione, scrivono lettere anche con la paura di sbagliare, di essere sgrammaticati. Ad un certo punto del percorso, quando Erin ha tracciato strade per un reale coinvolgimento dei suoi studenti, proprio nel momento del “Brindisi per il cambiamento”, propone ai suoi studenti di scrivere le loro storie. È un adulto che protegge le loro storie fragili e valorizza i loro talenti seppelliti nella rabbia. Erin invita i suoi studenti a scrivere la loro storia. Ecco come racconta:

«I diari provvederemo a metterli in un posto sicuro per diventare appassionati scrittori, comunicando le nostre personali storie, le nostre personali intuizioni. Dal momento in cui essi cominciarono a mettere giù i loro pensieri e sentimenti, la motivazione fiorì. Improvvisamente trovarono un forum per l’autoespressione e un posto dove potevano sentirsi valutati e validati. I miei studenti furono ispirati a scrivere lettere a Miep Gies, la donna coraggiosa che nascose Anna Frank, Zlata Filippovic, la giovane autrice che scrisse “Il diario di Zlata una vita di infanzia a Sarajevo”».

Testimonianze “Visive”

Prof. Giuseppe Cursio, Guida Freedom Writers; Metodo Freedom Writers .